Marco (Polo) entra
in una citta’; vede qualcuno in una piazza vivere una vita o un istante che
potevano essere suoi; al posto di quell’uomo ora avrebbe potuto esserci lui se
si fosse fermato nel tempo tanto tempo prima, oppure se tanto tempo prima a un
crocevia invece di prendere una strada avesse preso quella opposta e dopo un
lungo giro fosse venuto a trovarsi al posto di quell’uomo in quella piazza.
Ormai, da quel suo passato vero o ipotetico, lui e’ escluso; non puo’ fermarsi;
deve proseguire fino a un’altra citta’ dove lo aspetta un altro suo passato, o
qualcosa che forse era stato un suo possibile futuro e ora e’ il presente di
qualcun altro. I futuri non realizzati sono solo rami del passato: rami secchi.
Se ti dico che la
citta’ cui tende il mio viaggio e’ discontinua nello spazio e nel tempo, ora
piu’ rada ora piu’ densa, tu non devi credere che si possa smettere di
cercarla.
L'inferno dei
viventi non qualcosa che sara’; se ce n'e’ uno e’ quello che e’ gia’ qui,
l'inferno che abitiamo tutti i giorni, che formiamo stando insieme.
Due modi ci sono per non soffrirne. Il primo riesce facile a molti: accettare l'inferno
e diventarne parte fino al punto di non vederlo piu’.
Il secondo e’ rischioso ed esige attenzione e apprendimento continui: cercare e
saper riconoscere chi e che cosa, in mezzo all'inferno, non e’ inferno e farlo
durare e dargli spazio.
Italo Calvino da: Le citta’ invisibili (1972)