Il termine Social Learning si riferisce a quelle forme di apprendimento che sono influenzate dall’osservazione o dall’interazione fra individui tipicamente della stessa specie (Galef, 1988). I meccanismi di apprendimento che rientrano in tale definizione, sono ulteriormenti scomposti in classi descrittive che si differenziano per il diverso ruolo che viene svolto dal demostrator (individuo che esegue l‘atto o la sequenza di atti comportamentali) nell’evocare il processo di Social Learning nell’observer (individuo che apprende dall’interazione con il demostrator). C’e‘ in letteratura, la tendenza a ordinare queste classi descrittive in una sequenza che dovrebbe render conto della complessita‘ cognitiva che sottosta‘ al meccanismo di apprendimento in questione, muovendosi all’interno dei due estremi rappresentati da una parte dalla “semplicita‘“ di meccanismi totalmente regolati da fattori genetici (Es. Contagious behaviour, uccelli in gruppo che volano non appena un altro individuo del gruppo si alza in volo) fino alla complessita‘ attribuita ai meccanismi dell’imitazione tipici della specie umana. Ma ordinamenti diversi nascono dalle ambiguita‘ che caratterizzano le definizioni delle varie classi descrittive. Nuovi dati sperimentali e osservazioni in natura spingono spesso verso la definizione di nuove classi descrittive che si aggiungono e sovrappongono a quelle esistenti, creando una eccessiva frammentazione e difficolta interpretativa dei fenomeni (Heyes, 1994).
Vari modelli matematici hanno cercato di cogliere le relazioni causali
fra le caratteristiche dell‘Habitat di una determinata specie e meccanismi
di apprendimento. Tali modelli (Laland, Richerson and Boyd, 1996) hanno
proposto delle ipotesi sulla natura delle pressioni adattative che rendono
piu‘ probabile fra gli individui del gruppo, la capacita‘ di servirsi di
Social Learning, invece di usare Individual Learninig o risposte istintive
per risolvere problemi o prendere decisioni in merito a problemi vitali
quali ricerca del cibo, scelta dell’individuo con cui accoppiarsi, riconoscimento
di predatori ecc. ecc.
Il lavoro presentato in occasione del Te’ Darwiniano del 21 Aprile,
segue quest’ottica centrata sulla ricerca delle ragioni evolutive che possono
giustificare l’emergenza e il valore adattativo del Social Learning, focalizzandosi
su un esempio specifico legato ai meccanismi di scelta di cibo nel Rattus
norvegicus.
Galef e colleghi (1996), studiando i meccanismi di trasmissione dell’informazione sulle preferenze di cibo nel Rattus norvegicus, hanno scoperto che i ratti possono imparare a riconoscere cibi buoni da inserire nella dieta, usando informazioni ricavate dall’interazione con altri individui. Galef ha messo in evidenza il fatto che questi ratti sono tendenzialmente neofobici, cioe’ non mangiano mai cibi che non fanno parte della loro dieta, ma non si attengono a questa norma se il cibo “nuovo” ha lo stesso odore che hanno potuto captare dall’respiro di qualche altro ratto. La caratteristica principale che sembra rendere un informazione olfattiva utilizzabile per inserire un cibo nella lista delle cose commestibili sembra essere la combinazione dell’odore del cibo nuovo con un elemento chimico presente nel respiro del ratto. E’ risultato oltresi’ significativo il fatto che i ratti non tengono in considerazione lo stato di salute del ratto demostrator cioe’ colui che comunica attaverso il suo respiro l’informazione relativa al cibo (Galef, 1983). Questo significa che i ratti non apprendono mai attaverso meccanismi di Social Learning avversione verso cibi che avrebbero potuto aver gia’ causato avvelenamento e sintomi di malattia in altri ratti.
Da un punto di vista del valore adattativo dei meccanismi di apprendimento in questione, puo’ sembrare ovvio che una specie come il ratto utilizzi tali meccanismi “sociali” di trasmissione dell’informazione per conoscere di piu’ sulle disponibilita’ e bonta’ del cibo nell’ambiente in cui vive, senza dover per forza ingerire, a rischio della vita, nuovi cibi per testarne la bonta’ (Individual Learning). Ma non sembra essere altrettanto ovvio il valore adattativo della scelta di non discriminare sullo stato di salute del demostrator. Perche’ rischiare di inserire fra i cibi buoni un cibo che potrebbe essere velenoso, soprattutto quando il discriminare sullo stato di salute del demostrator sembra essere un compito alla portata delle capacita’ cognitive della specie. Il modello di simulazione che abbiamo costruito si propone come una possibile spiegazione del fenomeno, basata sull’ipotesi che una determinata caratteristica dell’habitat del Rattus norvegicus, cioe’ il livello di letalita’ dei cibi tossici, possa aver rappresentato una variabile fondamentale fra le varie presioni selettive che hanno fatto evolvere il repertorio comportamentale della specie.
Al termine delle nostre simulazioni si e’ potuto notare che ambienti simulativi diversi hanno fatto evolvere differenti distribuzioni delle frequenze dei geni responsabili dei meccanismi comportamentali nei ratti. Gli ambienti simulativi differivano per la diversa probabilita’ che i ratti avevano di morire all’istante dopo aver ingerito un cibo tossico invece di tornare alla tana mostrando evidenti segni di avvelenamento.
In ambienti con basso livello di letalita’ dei cibi tossici, si riscontra una forte pressione selettiva ad evolvere la tendenza a mangiare cibo nuovo. I ratti utilizzano Individual Learning per raccogliere informazione sull’ambiente in cui vivono, mentre non si riscontra alcuna pressione selttiva per evolvere la capacita di interagire con conspecifici ne tanto meno la capacita’ di discriminare sullo stato di salute del demostrator.
In ambienti con valori medi del livello di letalita dei cibi tossici,
si riscontra un una drastica inversione di tendenza rispetto a quanto descritto
in precedenza. I ratti divengono estremamente neofobici, mentre c’e’ una
forte pressione selettiva per evolvere la capacita di raccogliere informazioni
dall’interazione con conspecifici (Social Learning) e per la capacita’
di discriminare sullo stato di salute del demostrator.
La presenza nell’ambiente di un alto livello di tossicita’ del cibo
velenoso, fa convergere il nostro modello evolutivo su soluzioni che piu’
si avvicinano a cio’ che Galef ha osservato nel Rattus norvegicus. Per
far fronte alla necessita’ di cibo senza correre il rischio di morire per
aver ingerito del veleno, rende i ratti estremamente neofobici. In un certo
senso la selezione tende a privilegiare i ratti che raramente provano a
mangiare del cibo che non conoscono. Allo stesso tempo si nota una forte
presione selettiva ad evolvere il gene per la capacita di porre attenzione
a cio’ che i conspecifici hanno mangiato (Social Learning), senza discriminare
sullo stato di salute del demostrator. Cio’ risulta piu’ comprensibile
in considerazione di tali fatti: la maggioranza dei ratti all’interno della
popolazione sono tendenzialmente neofobici, ma quand’anche provassero a
mangiare del cibo nuovo, e’ molto probabile che muoiano all’istante se
il cibo e’ velenoso, senza avere la possibilita’ di comunicare tale informanzione.
E’ cosi’ altamente probabile che i ratti che tornano alla tana possiedano
informazioni sicure. Questo fa si che ci sia pressione selettiva per evolvere
la capacita’ di porre attenzione a cio’ che di nuovo altri ratti hanno
da comunicare e rende il processo di discriminazione inutile. Discriminare
significherebbe per primo evolvere meccanismi cerebrali capaci di svolgere
in tutti i suoi passi il compito, inoltre cio’ significherebbe spendere
energie nel discriminare a costo di commettere errori molti gravi in ambienti
ostili e poco “generosi”, come considerare velenoso un cibo che in realta’
e’ buono.
In conclusione, la nostra similazione ci suggerisce che il livello di letalita’ dei cibi velenosi nell’habitat del Rattus norvegicus, puo’ render conto di alcune caratteristiche del repertorio comportamentale della specie. Ambienti altamente velenosi rappresentano una forte pressione selettiva ad evolvere meccanismi “sociali” di trasmissione di informazione sulle preferenze di cibo, senza la necessita’ di dover evolvere meccanismi che consentono di discriminbare sullo stato di salute del demostrator. L’ostilita’ dell’habitat della specie puo’ aver rappresentato nella storia evolutiva del Rattus norvegicus una sfida che sembra essere stata affrontata e risolta sfruttando determinate caratteristiche strutturali dell’ambiente (alto livello di letalita dei cibi tossici) a tutto vantaggio di soluzioni in termini di meccanismi decisionali, che sono risultate piu’ veloci ed economiche in quanto a costi implicato nella risulazione di compiti vitali.
Galef, B.F. (1988). Imitation in Animals: history, definition and interpretation of data from the psychological laboratory. In Social Leraning: Psychological and Biological Perspectives (ed. T.R. Zentall and B.F. Galef). pag. 3-28. Erlbaum, Hillsdale, NJ.
Galef, B.F. (1996). Social Enhancement of Food Preferences in Norway Rats: A brief Review. In Heyes and Galef (1996). Pag. 49-64.
Heyes, C.M. (1994). Social Learning in Animals: Categories and Mechanisms. Biological Review, pag. 207-231.
Heyes, C.M. and Galef, B.F., editors (1996). Social Learning in Animals: The Roots of Culture. Academic Press, San Diego, CA.
Laland, K.N., Richerson, P.J., Boyd, R. (1996). Developing a Theory
of Animal Social Learning. In Heyes and Galef (1996). Pag. 129-154.
copyright ©1999-2001 Raffaele Calabretta. All Rights Reserved.