In occasione del secondo incontro della Darwinian Tea Society of Rome (!), i presenti (Raffaele Calabretta, Daniele Denaro, Andrea Di Ferdinando, Riccardo Galbiati, Stefano Nolfi, Luigi Pagliarini e Domenico Parisi), hanno discusso animatamente il tema - introdotto da Riccardo Galbiati:
1. L'evoluzione tramite selezione naturale
1.1 Introduzione
L'evoluzione per selezione naturale è un meccanismo che si basa
su tre principi :
- il principio della variazione (gli individui differiscono
per morfologia, fisiologia, comportamento). La variazione è creata
per mutazione ma sopratutto per ricombinazione, con cui si creano nuovi
genotipi che producono (tramite lo sviluppo) i tratti fenotipici (caratteri)
su cui agisce la selezione.
- il principio dell'eredità (la variazione suddetta è
in qualche modo geneticamente trasmissibile, ragion per cui, per le caratteristiche
suddette, la prole assomiglia di più ai genitori che ad altri individui
della popolazione).
- il principio della selezione naturale (le diverse varianti
producono più discendenti a breve o a lungo termine, cioè
nelle generazioni future).
Tuttavia la semplice riproduzione differenziale non provoca cambiamenti qualitativi ma solo quantitativi tra le varianti in una popolazione, sembra quindi essere necessario un ulteriore principio che renda conto di tale cambiamento.
Il quarto principio, o principio della lotta per l'esistenza, spiega che la riproduzione differenziale (il terzo principio) è dovuta alla maggiore idoneità che talune varianti hanno rispetto alle altre per ciò che concerne la sopravvivenza, le capacità competitive, la resistenza a fattori ambientali abiotici (es. variazioni climatiche).
Questa idoneità deve essere intesa in senso relativo e non assoluto, vale a dire che un organismo può essere altamente idoneo in un ambiente (dove per ambiente si intende l'insieme dei fattori rilevanti per un organismo, sia non biologici che biologici, quali individui conspecifici o di altre specie) ma poco o nulla in un altro.
Il quarto principio fornisce implicitamente la definizione di adattamento in senso evoluzionistico, in quanto un organismo può avere anche capacità di "adattamento" in senso fisiologico e morfologico al mutare delle condizioni ambientali (ad esempio la variazione del numero di globuli rossi all'aumentare dell'altitudine). Questa capacità stessa può però rappresentare un adattamento in senso evoluzionistico.
Inoltre, si deve notare che la "lotta per l'esistenza" è da intendersi come metaforica (come ha sottolineato lo stesso Darwin nell'Origine delle specie) e non nel senso di Spencer (e di alcuni autori più recenti) come eterno conflitto tra gli individui (o i geni!) per assicurarsi il maggior successo riproduttivo.
1.2 Adattamento e tautologia della selezione naturale
Il quarto principio, che può anche essere definito principio dell'adattamento , pone la maggiore o minore idoneità delle varianti in una popolazione come base per la riproduzione differenziale, cioè la selezione naturale.
L'affermazione della "sopravvivenza dei più adatti" , dovuto a Spencer, rende la selezione naturale tautologica (un affermazione circolare autoevidente) vale a dire: sopravvive chi è più adatto, ed adatto è colui che sopravvive !
In realtà l'idoneità, o adattamento, si esprime in termini di riproduzione differenziale ma non è definita da essa, in quanto la riproduzione differenziale è una conseguenza dell'adattamento, non la sua causa.
Dal punto di vista pratico spesso l'adattamento è misurato in termini di riproduzione differenziale (lo stesso concetto di fitness è definito come una misura quantitativa del successo riproduttivo nella genetica di popolazione) mentre la ricerca di un criterio indipendente dalla mera riproduzione differenziale per l'adattamento, porta quasi inevitabilmente al concetto di progetto ottimale delle caratteristiche morfo-funzionali, di ispirazione ingegneristica; concetto fuorviante poichè la selezione naturale non agisce su organismi passivi e che non sono soggetti a limitazioni filogenetiche ed ontogenetiche.
Come giustamente sottolineato da Ernst Mayr nel suo libro One Long Argument, la selezione è un fenomeno a posteriori, cioè conseguente l'idoneità degli organismi, che ne aumenta le probabilità di sopravvivenza e quindi riproduttive: la selezione ha quindi una natura probabilistica anche se il risultato della sua azione "tende" in una direzione: quella che porta all'adattamento.
Inoltre non esiste una "forza selettiva" esterna: anche se Darwin ha chiaramente separato l'organismo e l'ambiente come due attori di un'unica rappresentazione in realtà l'ambiente è una componente definita dalle proprietà morfologiche, fisiologiche e comportamentali dell'organismo: sono queste proprietà che definisono ciò che è rilevante per l'organismo.
Quindi la selezione più che una forza è un processo, che
deriva dalla relazione stretta tra organismo ed ambiente: se le caratteristiche
di un organismo cambiano (compaiono cioè diverse varianti nella
popolazione) cambia anche la sua definizione di ambiente e quindi la natura
della selezione.
2 . I meccanismi di evoluzione "non darwiniani"
2.1 Introduzione
I principali meccanismi di evoluzione "non darwiniani" o "anti darwiniani"
come da qualcuno sono denominati, sono tre: Lamarckismo, comunemente noto
come "evoluzione tramite caratteri acquisiti"; Mutazionismo o Saltazionismo,
evoluzione tramite comparsa di macromutazioni il cui effetto si traduce
in un immediato adattamento all'ambiente; Ortogenesi, evoluzione come svolgimento
lungo percorsi preordinati dal sistema genetico ed ontogenetico (sviluppo).
Questi meccanismi non escludono l'intervento della selezione naturale che però assumerebbe solo un ruolo sussidiario di eliminazione degli inadatti e non un ruolo creativo nell'adattamento degli organismi al loro ambiente locale.
In pratica, gli "adatti" sarebbero "creati" da questi meccanismi mentre la selezione "spazzerebbe" via gli "errori di fabbricazione" (spesso è proprio sugli "errori di fabbricazione" che opera la selezione!).
2.2 Lamarckismo
Il Lamarckismo prende il nome dal francese Jean Baptiste del Lamarck (1744 - 1829). Erroneamente si è portati a credere che esso sia l'evoluzione tramite caratteri acquisiti. In realtà, l'eredità dei caratteri acquisiti è il meccanismo che permette alla progenie di ricevere i risultati dell'adattamento all'ambiente dei genitori, ma non è la forza motrice dell'evoluzione.
Infatti la forza motrice è una tendenza intrinseca nei viventi
che li spingerebbe ad evolversi dal semplice al complesso; tale tendenza
ideale deve però fare i conti con le necessità ambientali.
Quindi anche nel Lamarckismo, come nel Darwinismo, vi è il problema
dell'adattamento come risposta degli organismi all'ambiente.
Nel Darwinismo l'adattamento è una conseguenza di un processo in due tempi in cui viene dapprima creata la variazione (oggi noi sappiamo tramite mutazione e ricombinazione) in modo casuale (non equiprobabile ma non adattativo) e solo successivamente su di essa opera la selezione (riproduzione differenziale delle varianti sulla base dell'idoneità all'ambiente) che "orienta" la variazione in senso adattativo.
Nel Lamarckismo il processo avviene in un unica fase, cioè gli organismi "percepiscono" un mutamento ambientale e rispondono generando la "giusta variazione" (ad esempio tramite l'uso o il non uso di una parte del corpo, o un "adattamento" fisiologico) cioè una variazione che risponde in modo corretto alle necessità ambientali, tale variazione viene trasmessa alla generazione successiva (eredità dei caratteri acquisiti) : l'essenza del Lamarckismo è quindi l'orientamento della variazione in senso adattativo.
Da notare che lo stesso Darwin credeva in un adattamento che si poteva produrre tramite uso e non uso in un ambiente stabile, e nel meccanismo dell'eredità dei caratteri acquisiti sia come produttore della variabilità su cui opera la selezione, sia come forza stabilizzante di tale variabilità.
2.3 Ortogenesi
Secondo Charles Otis Whitman (1842-1910) la selezione naturale non avrebbe alcun potere creativo, può solo accettare o rifiutare le varianti esistenti. Se il sistema genetico o di sviluppo impone alla variabilità una direzione definita la selezione non è in grado di modificare il corso dell'evoluzione, in tal modo non solo si potrebbe interpretare la storia passata ma anche prevedere quella futura.
In Whitman (a cui si devono le ricerche sulla determinazione precoce delle linee cellulari nello sviluppo embrionale) tale concezione dell'evoluzione non implica nessun fine preordinato ma è semplicemente un meccanismo che rende il motore dell'evoluzione una conseguenza del sistema genetico ed ontogenetico (di sviluppo) degli organismi: il risultato più evidente dell'ortogenesi è la creazione di trends evolutivi nell'ambito di specie o gruppi di specie.
2.4 Mutazionismo
Il mutazionismo, o saltazionismo, fu elaborato come conseguenza della riscoperta delle leggi di Mendel nei primi anni del XX secolo, in particolare ad opera del botanico olandese Hugo de Vries per spiegare l'origine di nuove specie vegetali (alcune specie vegetali si originano in modo improvviso per variazione della ploidia, cioè del numero dei cromosomi).
Tale meccanismo produceva nuove varianti tramite macromutazioni che riorganizzavano profondamente la morfologia dell'organismo (i cosidetti "sports" che Darwin non credeva potessero diffondersi in una popolazione) quindi il mutazionismo si pone in antitesi al meccansimo gradualista darwiniano come forza creativa .
Una versione diversa del mutazionismo la si deve a Richard Goldschmidt (The material basis of evolution, 1940) e al suo "mostro di belle speranze". Per Goldschmidt le discontinuità macroevolutive non sarebbero dovute all'azione graduale della selezione per un lungo periodo di tempo ma sarebbero causate da piccoli cambiamenti genetici che altererando i tempi e i modi dello sviluppo embrionale produrrebbero ampie variazioni nel piano di organizzazione strutturale degli organismi: piccole mutazioni, con grandi effetti (il "mostro di belle speranze") che se positivi si diffondono nella popolazione.
Il punto dolente di questa interpretazione è che il "mostro di belle speranze" sarebbe già adatto all'ambiente, quindi l'adattamento sarebbe un risultato di mutazioni casuali senza l'intervento di forze selettive.
Una visione simile la si trova anche in D'Arcy Thompson (On growth and form,1917) con le sue leggi di trasformazione dei piani strutturali degli organismi.
3 L'apporto "non darwiniano" per una visione darwiniana dell'evoluzione
3.1 Introduzione
La teoria sintetica dell'evoluzione i cui padri sono, secondo Ernst Mayr: Mayr stesso, Dobzhansky, Huxley (non il mastino di Darwin ma suo nipote Julian!) Simpson, Rensch e Stebbins unitamente all'apporto di altri evoluzionisti quali Haldane, Fisher e Wright (prevalentemente nell'ambito della genetica delle popolazioni) ha unito il darwinismo con la genetica mendeliana (si ricordi che sotto certi aspetti la possibilità di tramandare inalterate le caratteristiche dai genitori ai figli apparentemente poteva essere in contrasto con il darwinismo).
In questa sintesi tuttavia sono state commesse un'omissione, una semplificazione ed un'estrapolazione non necessaria: l'omissione è quella di aver tenuto fuori lo sviluppo, la semplificazione è quella di aver ridotto l'evoluzione a un semplice mutamento di frequenze geniche.
L'estrapolazione è quella fatta dallo stesso Darwin che ha legato la selezione naturale al gradualismo, cioè l'evoluzione procede tramite piccoli cambiamenti graduali nel tempo, legame già riconosciuto come non necessario, anzi pericoloso per la teoria della selezione naturale, dal suo "mastino" Thomas Henry Huxley.
Nell'ottica gradualista la macroevoluzione (le transizioni nei piani di organizzazione degli organismi, come il passaggio pesce-anfibio o rettile-mammifero) non sarebbe altro che un'estensione su scala temporale maggiore, degli stessi processi che operano a livello microevolutivo (leggi variazione delle frequenze geniche).
La versione più estrema della sintesi moderna sfocia nel panadattamentismo, cioè ogni caratteristica degli organsimi sarebbe stata progettata dalla selezione naturale concepita come macchina atta a produrre adattamenti ottimali intesi come le migliori soluzioni a problemi locali.
3.2 Il ruolo dello sviluppo
Lo sviluppo dei tratti fenotipici di un organismo è determinato dall'azione combinata del genotipo, dell'ambiente (nell'accezione data al § 3.4) dagli eventi dello sviluppo stesso (le laws of growth di Darwin) e da eventi casuali (rumore di sviluppo).
Due meccanismi sembrano giocare un ruolo molto importante nell'evoluzione sia come sorgenti della variazione sia come agenti vincolanti dell'evoluzione stessa (constraints evolutivi) : l'eterocronia, o variazione dei tempi e modi dello sviluppo, e la canalizzazione, cioè la stabilizzazione dei processi di sviluppo lungo determinate vie.
3.3 Il ruolo della storia passata e del caso
Si deve principalmente a S.J. Gould la rivalutazione del ruolo della contingenza storica e del caso per la comprensione dei patterns evolutivi (vedi Gould & Lewontin 1979).
3.4 Il ruolo dell'ambiente
Sono le proprietà morfologiche, fisiologiche e comportamentali che definiscono l'ambiente di un organismo (nicchia ecologica) quando non è esso stesso che con i suoi comportamenti lo "crea" attivamente.
Questa relazione tra organismo ed ambiente fa si che al cambiare della relazione cambino anche le condizioni selettive e quindi il corso dell'evoluzione, quindi non solo come il risultato di cambiamenti ambientali generali "esterni" ma come risultato delle mutate proprietà dell'organismo (anche Darwin sosteneva l'influenza sul corso dell'evoluzione di un mutamento comportamentale).
3.5 Preadattamento ed esattamento
Un tratto fenotipico è da considerarsi un adattamento se è o si può dimostrare (anche per inferenza) che è un prodotto della selezione naturale; tuttavia alcuni tratti fenotipici pur contribuendo all'adattamento complessivo dell'individuo non necessariamente sono un prodotto diretto della selezione.
Questa confusione deriva dal significato che si attribuisce alla parola adattamento: l'adattamento è un processo ma è anche usato per indicare un tratto che contribuisce all'idoneità complessiva dell'organismo all'ambiente locale.
Quindi sarebbe prefiribile definire il tratto come adattivo e riservare la parola adattamento per il processo evoluzionistico che aumenta nel tempo il grado di idoneità degli organismi in una popolazione tramite la creazione di tratti adattivi o adattativi per selezione naturale.
Tuttavia, il fatto che un tratto possa contribuire all'idoneità
complessiva di un organismo non ci permette di affermare necessariamente
che esso sia un risultato della selezione naturale per quel dato scopo;
si possono infatti verificare tre casi:
a) si è formato per selezione naturale come adattamento a condizioni
di vita differenti ed è stato utilizzato per quelle nuove;
b) è un semplice sottoprodotto dello sviluppo utilizzato a fini
adattivi.
c) è un tratto evoluto per selezione ma che attualmente non
gioca alcun ruolo adattivo;
d) è un tratto di per sé non adattivo ma associato ad
un altro tratto soggetto a selezione
ed essere il semplice risultato delle modalità costruttive dell'organismo.
(principio della correlazione dei caratteri già espresso da
Darwin).
Gould e Vrba (1982) hanno proposto il termine esattamento (exaptation) per i casi (a) e (b) mentre per un carattere che non contribuisce (o si pensa non contribuisca) all'idoneità complessiva dell'organismo, gli autori hanno proposto il termine non-aptation (non adattamento). Questa classificazione è stata recentemente estesa da Golud anche a livello molecolare per classificare il cosidetto Junk DNA.
Da ciò si desume che non si possono fare inferenze immediate
sulla storia evolutiva di un tratto dall'utilità presente di quel
tratto: la necessità di questa nuova terminologia sta anche nel
fatto che il termine "preadattamento" parrebbe implicare una sorta di finalismo
nel processo evolutivo.
Tè...mi sollevati
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